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Oltre le parole: il ruolo fondamentale di interpreti e traduttori nell’editoria

Nell’approfondimento di oggi proponiamo un’intervista a Rossana Ottolini, socia di AMI che svolge l’attività di interprete e traduttrice free-lance per le lingue spagnolo-italiano-spagnolo. Dal 2006 collabora con diversi gruppi editoriali, tra cui Longanesi, Garzanti, Guanda, Salani e Planeta. È inoltre interprete presso alcune delle manifestazioni letterarie nazionali più importanti, come PordenoneLegge, MobyDick, Festival della Mente e molti altri eventi ancora. Presta la sua voce in occasione delle presentazioni e interviste di autori ispanofoni, nonché durante i programmi radiofonici e televisivi.

Cominciamo dall’inizio: come si diventa interpreti e traduttori per l’editoria?

Sono approdata al mondo dell’editoria e a quello dei festival letterari grazie alla segnalazione di un collega di inglese che fece il mio nome alla casa editrice Longanesi quando stava per uscire “La Cattedrale del Mare” di Ildefonso Falcones. Da quella segnalazione, oltre a una splendida amicizia con Valentina Fortichiari allora alla guida dell’ufficio stampa e con lo stesso autore, è nata la parte della mia professione che oggi è senza dubbio quella che mi regala le maggiori soddisfazioni, grazie a un ambiente di lavoro fatto di collaborazione reciproca, stima, complicità e divertimento.

Quali sono le competenze che è necessario acquisire a livello tecnico?

Le competenze tecniche sono quelle necessarie a qualunque interprete, oltre a una passione per la consecutiva che ancora va per la maggiore in questo settore. Ovviamente serve anche un grande interesse per la lettura che rende la fase di preparazione piacevole, tanta curiosità e un amore incondizionato per la o le culture e la lingua che si è scelta come colonna sonora della nostra vita.

Quali sono le competenze che invece servono in maniera trasversale, quelle meglio note come “soft skills”?

Caratterialmente serve empatia, inclinazione alla mediazione, la volontà di capire quello che non ci appartiene per nascita e la disponibilità a mettere in campo tutto il nostro “vissuto” come se fosse un radar di sensibilità. Bisogna prestare un po’ di attenzione a tutto quello che ci circonda e si presenta alla nostra percezione e assorbirlo come spugne perché a volte le cose più impensate e apparentemente irrilevanti al momento giusto ci permettono di captare un’idea appena accennata, carpire un concetto al volo, raffigurarci una situazione e stabilire dei collegamenti che allargano lo spettro della comprensione.

Qual è il compito, quello vero, di interpreti e traduttori nell’editoria?

Credo che il compito di un interprete in questo preciso frangente non sia tanto la fedeltà lessicale quanto piuttosto ricevere i pensieri che gli vengono affidati e traghettarli nella lingua di arrivo cercando di suscitare lo stesso effetto che avrebbero sortito presso i parlanti della lingua originale. Vale per tutti gli interpreti in generale ma in quest’ambito non è davvero possibile fermarsi alla dimensione verbale e bisogna leggere oltre le parole. Serve anche una conoscenza profonda, aggiornata e maniacale del tessuto culturale da cui proviene l’autore perché la sua opera è frutto di quel tessuto, così come saper identificare le differenze culturali e colmarle per consentire a chi ascolta una comprensione informata.

Quando si traduce per una manifestazione letteraria quale tecnica si rivela più adatta? L’interpretazione simultanea oppure l’interpretazione consecutiva? Ci sono dei casi in cui l’una è più adatta dell’altra?

Come dicevo all’inizio in questo settore la consecutiva la fa ancora da padrona. In generale ritengo che ci siano poche circostanze in cui la simultanea non costituirebbe la scelta migliore perché a parità di tempo permette un flusso di comunicazione molto più fitto. Nondimeno la manciata di secondi che separano l’ascolto dalla resa a volte permettono all’interprete di pensare alla soluzione traduttiva più “felice”.

Il pubblico ha il piacere di ascoltare anche la voce dell’autrice o dell’autore, una possibilità che la simultanea esclude. Lavorare in consecutiva, per quanto appaia paradossale, crea un legame più stretto tra oratore e interprete e permette una comunicazione extra verbale istantanea che la simultanea, pur nella sua maggiore “puntualità”, impedisce. Per l’interprete è indubbio che lavorare all’interno del guscio protettivo di una cabina è meno stressante, tuttavia il fatto di essere una voce senza volto lo rende un po’ uno strumento agli occhi del pubblico, disumanizzandone la funzione.

Il gesto di prendere appunti contraddistingue l’interpretazione consecutiva. In un contesto in cui l’uso del computer è diventato sempre più centrale, quanto è importante avvalersi della scrittura a mano?

Personalmente non penso proprio che sia possibile e men che meno auspicabile perdere la capacità di scrivere a mano. Ce lo hanno spiegato le neuroscienze e i dietrofront attuati da alcuni Paesi dove si era arrivati a insegnare ai bambini a digitare direttamente su una tastiera. Pare che sia disastroso per lo sviluppo intellettivo in generale e la capacità di apprendimento in particolare.

Tornando ora alla consecutiva, alcune colleghe utilizzano dei dispositivi “tavoletta” che sostituiscono blocco e penna a vantaggio degli alberi, anch’io ne ho acquistato uno ma non mi sento ancora abbastanza sicura per utilizzarlo mentre lavoro. In ogni caso scrivere a mano rimane indispensabile visto che la presa di note comprende simboli, pittogrammi, disegni, frecce, abbreviazioni, oltre a parole e numeri. Inoltre, la disposizione stessa dei segni sul foglio non è casuale e contiene informazioni preziose per l’interprete.

Quali aspetti hanno in comune il lavoro dello scrittore e quello dell’interprete? Come fanno a entrare in empatia?

Penso che il lavoro più vicino allo scrittore sia quello del traduttore ovviamente, del resto non sono rari i casi in cui i due ruoli si concentrano nella stessa persona. Saper creare un flusso di empatia dipende più che altro dalla personalità di ognuno. Di solito quando sanno di dover fare affidamento sull’interprete, autrici e autori si mettono a disposizione per consentire a chi li interpreterà di lavorare nel migliore dei modi. È importantissimo che il binomio oratore–interprete lavori a proprio agio e se la persona tradotta non ha mai lavorato con un interprete, sarà compito di questi far capire che il nostro ruolo è quello di metterci al servizio della comunicazione.

Lo spagnolo è una lingua che presenta diverse affinità con l’italiano: lo dimostra il fatto che le persone possano capirsi a un livello più che accettabile senza parlarle perfettamente. Quanto questa “familiarità” influisce sul tuo lavoro di interprete?

Credo che la percezione dell’intercomprensibilità tra italiano e spagnolo sia ben sintetizzata da una frase pronunciata in situazioni tra il comico e il piccante della commedia ovvero “non è come sembra”. Se da una parte il corpo lessicale ha una radice comune, dall’altra lo spagnolo ha incamerato moltissimi termini dall’arabo che sono prevalsi sull’equivalente latino. Inoltre la deriva linguistica ha fatto si che oggi si contino circa 4500 “falsi amici” tra italiano e spagnolo che vanno ben oltre il celeberrimo “burro”. A volte quindi la vicinanza del termine e la rotondità di articolazione della pronuncia castigliana ci permettono di identificare una parola ma non è detto che abbia lo stesso significato che ha in italiano il medesimo termine o quello che gli assomiglia. Anche culturalmente nel quadro mediterraneo ed europeo di riferimento Spagna e Italia si somigliano meno di quel che tendiamo a pensare o non di più di quanto si somiglino i paesi euromediterranei. In generale, i rappresentanti del blocco linguistico–culturale ispanofono tendono alla collaborazione specie quando “giocano fuori casa” e si presentano con un atteggiamento di grande disponibilità, un aspetto molto trasversale a settori diversi. Non è mai stato un problema creare un clima di collaborazione con tutte le autrici e gli autori che ho avuto l’onore di interpretare. Con alcune e alcuni di loro, complice anche l’assidua frequentazione negli anni, si è instaurato un rapporto di amicizia, ma in nessun caso è mai capitato di percepire quell’ombra di “diffidenza-ostilità” che altre figure non riescono a dissimulare partendo dal presupposto che le loro parole verranno travisate e preferendo arrabattarsi in un inglese improbabile e limitato, piuttosto che affidarsi a chi ha fatto della comunicazione interlinguistica la propria ragione di vita oltre che la propria professione, perché questo lavoro lo fai se lo ami senza se e senza ma. Nemmeno guardando un film o seguendo il telegiornale si smette di tradurre in simultanea, a mente e in silenzio o dovrei trasferirmi su un’isola deserta ovviamente. Se questo non è amore…

Leggi i libri degli autori per i quali hai poi modo di fare da interprete in occasione di una manifestazione letteraria?

Assolutamente sì. Di norma leggo il libro in spagnolo mentre la traduzione è in corso. Da una parte è un modo per continuare a far crescere la lingua e inoltre si tratta della versione che l’autore o l’autrice ha scritto e conosce. Se il tempo lo permette leggo anche la versione italiana che è quella che conoscono tutti gli altri coinvolti nella comunicazione perché a volte durante la traduzione del testo vengono fatte scelte dettate da ragioni editoriali che portano a cambiare nomi dei personaggi o dettagli di qualunque genere e queste differenze potrebbero essere fonte di confusione.

Penso di parlare a nome di tutte le colleghe e i colleghi quando affermo che non ci limitiamo a leggere il libro ma cerchiamo di trasformarci in “biografi” degli autori con cui lavoriamo. Meglio si conosce chi dobbiamo interpretare, più completa sarà la visione di insieme che permette di leggere le intenzioni dietro ogni parola.

Con quanto anticipo viene contattato l’interprete per una manifestazione letteraria?

Dipende dalla manifestazione. Di solito gli organizzatori si muovono con molto anticipo nella consapevolezza del fatto che la preparazione necessaria per interpretare un’autrice o un autore che presenta un libro ha delle tempistiche irriducibili e spesso all’interno di una medesima manifestazione l’interprete è chiamata/o a seguirne più di uno.

Mi è capitato recentemente di declinare un’offerta proprio perché era arrivata a una settimana dall’evento e non sarebbe stato possibile prepararmi adeguatamente. Per questa ragione sono molto grata a un collega che proprio in occasione dell’ultima edizione di PordenoneLegge ha accettato di sostituirmi all’ultimo minuto, a causa di un incidente in cui mi sono trovata coinvolta il giorno prima. È stato un gesto davvero solidale e generoso.

In Italia si dice spesso che si legge poco. Qual è lo scenario che percepisci dai festival letterari a cui partecipi?

Di solito gli eventi sono gremiti e durante i festival letterari le città, specie quelle di dimensioni contenute, si trasformano nel centro del mondo. Si direbbe che le persone che leggono tengano molto a conoscere chi li fa viaggiare nel tempo e nello spazio con quella meravigliosa macchina che è la letteratura.

Quali consigli daresti alla te stessa degli inizi?

Se avessi a disposizione un tunnel spazio-temporale e potessi farmi arrivare un messaggio, mi direi di fidarmi di più del mio sesto senso e dell’intuito, anche se ritengo di aver mantenuto una giusta dose di incertezza grazie alla quale non ho problemi a mettere in discussione me stessa o le mie posizioni prima di fare altrettanto con gli altri.

Cosa consigli invece a un giovane che desidera fare il tuo stesso lavoro? Gli sbocchi professionali sono più adesso o erano maggiori quando hai iniziato la professione?

Non è facile rispondere a questa domanda, molti di noi pensavano di veder crollare le richieste di interpretazione dall’inglese visto che si ritiene che una buona fetta della popolazione ne abbia una certa padronanza. È successo giusto il contrario e se una flessione c’è stata, ha colpito le “altre” lingue per quanto sembri paradossale.

In realtà, la percezione diffusa della competenza linguistica necessaria per poter dichiarare di conoscere una lingua dista molto da quella di un interprete. Spesso si sentono persone “non addette ai lavori” dichiarare di parlare 2 o 3 lingue straniere mentre un interprete si domanda se davvero conosce la lingua con cui lavora ogni giorno e la cui padronanza in termini oggettivi è del tutto equiparabile a quella di un nativo. Quello che forse più ci accomuna a chi scrive è la sindrome dell’impostore, ma va bene così, l’umiltà è una caratteristica indispensabile per un lavoro dove la proverbiale buccia di banana potrebbe nascondersi dietro ogni angolo e la cui riuscita dipende molto anche da fattori che sfuggono al nostro controllo.

In ogni caso penso che la diffusione di una lingua di comunicazione come l’inglese a lungo termine determinerà una diminuzione della necessità di interpreti e traduttori ma quando è necessaria una comprensione reale e approfondita di una situazione, piuttosto che di un testo importante, ci si continua a rivolgere a dei professionisti.

Disporre di una o due lingue di comunicazione a livello planetario è certamente un vantaggio per gli scambi immediati e quotidiani, ma dobbiamo fare attenzione a non credere che un’unica lingua sia il miglior antidoto alla reciproca incomprensione. La diversità linguistica è una condizione che sarebbe catastrofico perdere non tanto a livello culturale come sarebbe catastrofico perdere il patrimonio artistico, ma proprio a livello intellettivo ed evolutivo perché le neuroscienze hanno assodato da tempo che lingue diverse plasmano cervelli diversi e cervelli diversi creano soluzioni diverse, in ultima analisi più soluzioni.

Qual è l’impatto che sta avendo lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale nel tuo settore?

Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale nel bene e nel male fa passi da gigante ogni giorno. La questione riguarda qualunque professione e non ci resta che augurarci che chi detiene il potere decisionale e può mettere dei paletti all’iniziativa privata sempre osannata, si renda conto che lo sfruttamento dell’IA richiede una rivoluzione normativa senza precedenti o il pianeta si trasformerà in un inferno di disoccupazione e quando non resterà nulla da perdere la rabbia e la disperazione di chi è stato rimpiazzato da un algoritmo distruggerà le fondamenta stessa della nostra civiltà e si dovrà ricominciare da zero.

Speriamo che un quadro così apocalittico resti appannaggio della fantascienza distopica anche se la mia fiducia nel genere umano giorno dopo giorno si assottiglia, ma è già un conforto sapere che l’ UE si sia dotata per prima, come al solito tra le mille critiche del partito preso degli euroscettici, di un quadro normativo teso a tutelare, almeno per cominciare, i cittadini europei.

Qual è invece l’impatto delle piattaforme per la RSI da remoto?

Diversamente da altri programmi di Intelligenza Artificiale, lo sviluppo delle piattaforme per la RSI (la simultanea da remoto) ha dato fiato a un tipo di attività potenzialmente sempre esistita ma impossibile da sviluppare, perché i costi dell’impiantistica per la simultanea la rendevano proibitiva per interventi di pochi minuti o un’ora. Oltretutto la possibilità di lavorare insieme senza spostarsi fisicamente è senza dubbio un’ottima notizia per l’ambiente, anche se il livello qualitativo in termini di audio ha ancora un ampio margine di miglioramento.

Hai mai prestato la tua voce a dei poeti? Se sì, ci sono differenze rispetto agli scrittori?

Qualche anno fa al festival di PordenoneLegge ho interpretato Antonio Gamoneda la cui poesia mi commuove profondamente, tuttavia nel quadro della presentazione con il pubblico non ci sono grandi differenze rispetto a un romanziere o a un saggista perché la poesia non è e non potrebbe essere oggetto di una traduzione simultanea o consecutiva.

C’è uno scrittore o una scrittrice con cui non hai avuto modo di relazionarti e con cui ti piacerebbe collaborare?

Il mio genere letterario preferito è la fantascienza e fatto salvo per “Lacrime nella pioggia” di Rosa Montero presentato diversi anni fa al Salone di Torino non mi è più capitato di lavorare con scrittori o scrittrici del genere. Sento una vera e propria venerazione per Isaac Asimov, Carl Sagan o Arthur C. Clarke. La capacità di immaginare mondi che non sono mai esistiti e declinarli in ogni sfaccettatura mi sembra la massima espressione dell’intelletto, oltre alla straordinaria valenza allegorica del nostro mondo e del nostro presente. Purtroppo non avrei potuto lavorare con nessuno di loro visto che la loro lingua era l’inglese. Negli ultimi anni ho sviluppato un crescente interesse per la divulgazione scientifica e mi piacerebbe tanto lavorare soprattutto con chi affronta il mistero più misterioso di tutti i misteri della nostra misteriosa esistenza (per citare Clara Sánchez), ovvero il Tempo!

Alcune cose che ti senti di dire liberamente sul lavoro di interpreti e traduttori

Concluderei ricordando la risposta di Umberto Eco a una domanda che gli venne posta.

“Qual è la lingua franca dell’Europa?”

“La traduzione”.

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